Satira politica
Alcuni giorni fa è andata in onda, nella trasmissione di Michele Santoro, una straordinaria scenetta. Bersani si arrabbia con Marco Travaglio (che, con i soliti risolini, i gridolini isterici, le velate allusioni in stile mafioso, lo accusa di favorire le Coop) e Santoro tenta di riportare la pace: suvvia Marco, non fare così, adesso basta, finiscila per favore. Sembrava di assistere a una di quelle incazzature che di tanto in tanto scoppiano, per futili motivi, nelle famiglie italiane, specie all’ora di pranzo, quando va in onda il noiosissimo Tg2 Salute e c’è qualcuno che svogliatamente fa la scarpetta con il pane. Bersani è il padre incacchiato: torvo in viso, agitato sulla sedia, sguardo acuminato, gesticola e sbatte più volte il bottiglione di Sangiovese sulla tavola. Travaglio è Marcuccio che ha appena detto una parola grossa al babbo (non si conosce quale sia il casus belli, forse una nota disciplinare dell’insegnante di educazione artistica) e da un lato mostra la tipica tigna adolescenziale, dall’altro emette belati agnelleschi con movimenti velocissimi del pomo di Adamo mal rasato, segni inequivocabili che la pippa fa novanta. Santoro è la mamma, anzi una mammona sul tipo di Lina Volonghi: ama lo sposo Piergigione (si sono conosciuti in un festival dell’Unità di Reggio Emilia mangiando pennette alla boscaiola e leggendo Marcuse in movimento mentre ballavano un lento su una canzone di Orietta Berti) e non osa contrariarlo. Ma vuole bene anche a Marcuccio che ha avuto in una età piuttosto avanzata, per intercessione di San Pasquale (alla fine questi comunistoni si raccomandano sempre), quando ogni speranza sembrava ormai perduta. Gli dice severa di smetterla, sottintendendo però che dopo, di là, sul lettone in noce massello con i pomelli a forma di falce e martello, mentre Piergigione si guarda su Sky la finale del campionato del mondo di bocce Italia-Argentina, lo riempirà di baci sul capino biondo e gli dirà che la mamma non lo abbandonerà mai. Ninna nanna, ninnaò questo giornalista a chi lo do.
Enzo Nardi