Teatro Lauro Rossi: l’artista, l’uomo e “Il catalogo”
Parigi, una splendida ed eccentrica donna dal vago accento dell’Est piomba nel pied à terre di uno scapolo incallito. Questo l’incipit di una commedia dell’assurdo che ha come protagonisti due testimonial della solitudine: un dongiovanni che cataloga le sue donne e una svampita e invadente straniera che si accampa nella sua casa senza conoscerlo affatto. A dare anima e corpo ai due soggetti Isabella Ferrari ed Ennio Fantastichini, entrambi al centro della scena de “Il Catalogo” di Jean-Claude Carrière.
Le cahier de l’amour
Il catalogo è l’oggetto intorno a cui ruota l’oculato modus vivendi di Jean-Jacques (Fantastichini): egli conserva la sua collezione di donne su questo “quaderno dell’amore”, con tanto di specifica sotto ogni nome e l’aggiunta di date e numero di incontri. Il raccoglitore è solo l’emblema di una vita condotta seguendo riti monotoni e maniacali: le rose tenute nel freezer pronte all’uso, gli abiti tutti identici dai colori blu-grigio, la lozione per capelli prima di uscire dalla porta di casa.
L’armoire
L’altro totem appartiene a lei, Suzanne (Ferrari), ed è l’armadio di cui si appropria e da cui ininterrottamente prende e rimette a posto i suoi abiti, quasi fosse un terzo protagonista. Si tratta dell’incontro di due solitudini disperate, della paura moderna d’innamorarsi e del tentativo di scongiurare questo “morbo”, per lui tramite un controllo esasperato della propria vita sentimentale e, per lei con l’invadenza di spazi altrui attraverso l’imposizione di sé. Niente di più attuale: il terrore dei sentimenti e gli escamotage per evitarli anche a costo di condurre una vita noiosa e a tratti patetica.
L’imprévu
Ma l’imprevisto è dietro l’angolo: il donnaiolo si innamora perdutamente di lei perché è la prima cosa che sfugge al suo controllo, mentre Suzanne è così confusa e spaventata dalla proposta di matrimonio, che quasi pone in discussione il suo desiderio di metter radici.
L’intervista
Incontriamo l’attore Ennio Fantastichini, generoso nell’intervista come sul palco, che è dote solo dei grandi artisti: ci parla del suo sentirsi un uomo-alfa-dominante (giusto per rimanere fedeli al personaggio), che nel branco sceglie la femmina più giovane, della dannazione di amare il mestiere dell’attore che è una “sorta di malattia”, ci spiega che “Il Catalogo” è uno spettacolo di grande tensione emotiva e molto faticoso da interpretare. Afferma che la politica d’oggi danneggia i giovani e sminuisce l’arte, sottolinea come gli introiti della Chiesa basterebbero per sostenere il Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo), del fatto che bisogna essere oggi ancor più uniti per non farsi abbattere né ideologicamente né politicamente.
Gli esordi
L’attore ci racconta dei suoi esordi: del suo primo spettacolo, il rivoluzionario “Paradise Now” (1968), per cui fu arrestato a causa del collettivo nudo di scena, di quando in tournée con Dario Fo guadagnava ottomila lire al giorno, dei suoi registi preferiti, cioè di quelli che parlano poco ed entrano in perfetta combine con l’attore. Ennio Fantastichini ci lascia un contributo importante: la descrizione del lavoro di costruzione dello spettacolo “ Il Catalogo”, così come l’ha voluta il regista Valerio Binasco, assieme con i due attori protagonisti. Sono state fatte prove di avvicinamento e prove di scena, è stata scelta nella traduzione in italiano una chiave più malinconica per sottolineare chi sia incapace di coltivare relazioni interpersonali, s’è preferito l’accento dell’Est per la brava Isabella Ferrari perché quello francese, più scontato, sembrava lasciarla intrappolata in un cliché. Ennio Fantastichini, sarà perché in rispondenza al suo cognome così degnamente portato, ci ha fatto sentire con i suoi racconti di vita un po’ di quella cosiddetta “magia” del teatro anche fuori dal palcoscenico.
di Raffaella D’Adderio