di Cesare Angeletti
Eh sì! Purtroppo, quando capivo niente, ossia dai 18 ai 20 anni, ero un cacciatore. Mi piaceva sparare e mi appassionavano le armi, tanto che spesso andavo a Sarnano dal mio amico Mario Arrà (che ricordo sempre con piacere) il quale aveva una splendida collezione di armi, dalla pistola a miccia alle armi più potenti.
Terzo al Campionato italiano
Andavamo a sparare al tirassegno e feci persino i campionati italiani per esordienti, all’Acqua Acetosa, con la pistola automatica calibro 22 arrivando terzo. Con la carabina feci il record marchigiano sparando ai piccioni di metallo, record che ho tenuto per due anni. Insomma, sparare mi piaceva.
Un colpo al cuore
Poi, un giorno particolarmente umido ho tirato a una tordella e, forse, la cartuccia era da tempo asciutto e non me ne ero accorto. La povera bestia cadde a una cinquantina di metri, senza morire. Mentre la raccoglievo mi guardò e rimasi di stucco, era come se i suoi occhi dicessero: “Ma che ti ho fatto di male? Perché mi hai sparato?” e morì. L’ho sotterrata lì vicino, sono tornato a casa, ho pulito e oliato bene i due fucili, li ho smontati, li ho messi in uno scatolone e li tiro fuori una volta l’anno per pulirli e oliarli di nuovo prima di riporli.
Le due regole da rispettare
Adesso, detti i precedenti, vi racconto quella che è stata una battuta di caccia molto strana. Quando a 18 anni mio padre ha acconsentito che prendessi la licenza di caccia mi ha chiesto di rispettare due regole. La prima era che, essendo la caccia uno sport, dovevo sparare all’animale un colpo solo, come aveva sempre fatto lui, motivo per cui era diventato famoso e i suoi amici lo rispettavano e lo vantavano per questa sua scelta. Diceva infatti: “Se non sei tanto bravo da ucciderlo con il primo colpo lui ha diritto di vivere!” La seconda regola era che sarei dovuto uscire insieme con persone più esperte di me, per imparare tutte le regole di comportamento e i segreti dei vari tipi di caccia.
All’ombra di una quercia
Una domenica mattina partiamo in cinque per andare in una zona dove c’era stato un passo di palombe. Alle sei, appena giorno, parcheggiate le macchine, iniziamo a camminare verso la meta. Alle dieci, fatti circa cinque chilometri, fermandoci spesso alla ricerca di eventuali prede, arriviamo sotto una enorme quercia e il capo gruppo dà ordine di fermarsi per fare colazione. Ci raccomanda anche di stare all’erta perché quell’albero, spesso, è un punto di ritrovo delle palombe, quindi muoversi il meno possibile perché gli uccelli hanno la vista acuta, e stare pronti a eventuali avvertimenti.
Le palombe! Le palombe!
Dopo qualche minuto, colui che è dalla parte opposta alla mia dice: “Cesare attento che sopra a te escono le palombe!” Imbraccio il fucile (stava aperto al mio fianco appoggiato all’albero), lo chiudo e appena lo stormo di uccelli esce dalla chioma della quercia sparo due fucilate. Ne cadono giù cinque! Sono contentissimo. Gli altri sghignazzano e mentre vado a raccogliere le prede vedo un contadino che, uscito da una casa poco lontana, viene verso di me correndo e urlando. Penso: “Ehilà, è rimasto colpito anche lui dalla mia esibizione!”
La sorpresa
Appena arrivo vicino alla prima “palomba” resto di stucco. Lo scherzo è riuscito. Le palombe altro non sono che i piccioni del contadino il quale, appena arrivato sul luogo della strage, bestemmiando, mi accusa dello sterminio dei suoi piccioni. Mentre gli altri cercano di calmarlo, facendo buon viso a cattivo gioco, dico: “Scusami, mi hanno fatto uno scherzo. Ascolta, le cose sono due, ti pago i piccioni al prezzo di mercato e me li porto via oppure sono lì, non li ho toccati, te li prendi e te li mangi in famiglia”.
Le lavannare
Il contadino, forte per essere parte lesa, pretende invece di tenersi i piccioni e pure il denaro. Dopo ampia trattativa la discussione si è chiusa con un piccolo esborso e i piccioni al legittimo proprietario. Come risarcimento dello scherzo patito ho chiesto che nessuno raccontasse l’accaduto ma, si sa, i cacciatori sono come le lavannare e non sanno stare zitti per cui tutti seppero della mia disavventura, anche se l’aver abbattuto cinque prede con due colpi mi fece fare comunque bella figura tra i cacciatori.