di Enzo Nardi
Pierferdinuotando Casini (Nando in latino significa nuotando e chi meglio di un democristiano nuota sott’acqua pronto ad azzannare come un barracuda la povera orata, orfana di madre e di padre?), ospite l’altra sera di Dietlinde Gruber Sinistren Delicatessen detta Lilli, sembrava un incrocio tra il brutto Beppe Severgnini e il bel Claudio Baglioni. Abbronzato come Carlo Conti ed ecumenico come il priore di Bose, si vedeva lontano un miglio che faceva una fatica mortale a trasformare il vetriolo in zucchero. Tale metamorfosi molecolare impossibile a un chimico può riuscire solo agli stregoni, sia pure con una sciamanica trance che richiede indubbio talento.
Un piano segreto
E quanto a stregonerie, si vedeva in Casini la chiara influenza del cattospiritista Romano Prodi. Una volta Prodi disse che era giunto il momento di porre fine alle lotte tra guelfi e ghibellini e Pierferdinuotando, sulla sua scia , ha rimproverato Berlusconi di vedere i comunisti perfino dietro le tende della camera da letto. Ed ha aggiunto (solo alcuni hanno notato come l’iniziale ringhio veniva abilmente camuffato da una voce belante alla Padre Mariano) che 20 anni di bipolarismo avevano incattivito l’Italia e che era giunta finalmente l’ora di abbracciarsi intorno al mondo con grazioso girotondo. Taceva ovviamente sul suo piano segreto, cioè quello di distruggere il Pdl. Gli udiccini ormai non si distinguono più dai piddini. Se la intendono ovunque, nei comuni, nelle province, nelle regioni. Tassa e spendi, immigrazione selvaggia, acquiescenza di fronte ai temi etici, giustizialismo feroce. Non c’è più differenza tra il cattoteosofico Prodi e il cattocomunista Casini: il secondo è solo un po’ più agréable.
Prodi e Casini in… salumeria
Prodi è una prosaica mortadella da massaia suburbana, Casini un pregiato culatello da 8 euro l’etto. Manca solo il cacciatorino di Vendola per trasformare la politica italiana in una porchetta sublime. La mira di Casini (mentre parliamo di lui, Buttiglione è in un angolo che si fuma il sigaro) è chiara: fare le moine ad Alfano per infilargli, al momento opportuno, il pugnaletto nella milza, prendersi un po’ di voti del Pdl e governare col Pd. I comunisti estremi, messi a suo tempo fuori uso da Silvio Primo, non daranno noie, la Lega e lo zoccolo duro del Pdl saranno ridotti a meno del 30 per cento.
Che fare di Fini?
Resta Gianfranco. “Cosa gli facciamo fare?” dice Casini. Ma Gianfranco è ormai entrato nelle spire dei Tullion Macquart, un clan degno del miglior Zola. Fini è un caso clinico da romanzo positivista. Se te lo trovi davanti, magari può metterti anche soggezione con quegli occhialini gelidi e quelle battute taglienti. Poi se lo vedi in mutande a Sabaudia è un gusto: torace esile ma con principio di tipiche zinne senili, gambette magre, assomiglia allo zio scapolo che al mare si fa la settimana enigmistica seduto sotto il chiosco. Una macchietta, uno zio Pino da ombrellone a righe e sedioletta pieghevole su cui respirare lo iodio a prima mattina. E che ti fa Casini con Fini? Proviamo a immaginare, a proposito di questo tema, il dialogo che avviene tra Pierferdinuotando e Buttiglione. Dice Buttiglione: “E che ce facimme co’ ‘sto Gianfranche ch’è un mezze radicale e non piace a lu vescove?” Risponde Casini: “Caro Rocco, non ti preoccupare, Fini è ormai spremuto, sembra il mago di Arcella, non ha più un filo di fiato. Noi lo mettiamo al Quirinale. Ogni tanto spara due cazzate (due cassate in bolognese) alla Pertini, versa due lacrimucce come Annemaecore Ciampi, poi viene la Tulliani, gli sistema lo scialletto e gli toglie il pappagallo.”
Siamo al dessert
Credo andrà così. Prima però di congedare il lettore vorrei fare il ritratto di quel quasi 30 per cento (o forse meno) che sarà escluso dal ferale compromesso: sono i lavoratori da cui dipende quel po’ d’agio che c’è dato, i fantasiosi, i forti di spirito, gli entusiasti per cui niente è problema, operai, professionisti, artigiani geniali e qualche intellettuale vitalista. Senza questi ciceroniani boni non c’è Italia, non c’è ricchezza, non c’è famiglia, non c’è occupazione. Questa categoria di gente sveglia e attiva la vediamo all’opera anche nei gruppi, nelle comitive, nelle aggregazioni che frequentiamo: c’è chi si dà da fare, chi serve a tavola, chi affetta il pane, chi toglie via i piatti sporchi ma purtroppo c’è anche chi parla, commenta, disquisisce e magari s’incazza perché tarda il dessert.