Rossi al Rossi!

E il “mistero buffo” diventa pop

 

mistero buffoSulla falsariga del “Mistro buffo” di Fo, il “mistero buffo – 2.0 versione pop”di e con Paolo Rossi, ne è una rivisitazione più popolare e moderna. Per tutto lo spettacolo si inneggia al teatro di strada e alla figura del giullare simbolo del popolo oppresso dai potenti: capisaldi nella battaglia culturale del premio Nobel Dario Fo. Irriverente parodia delle vicende religiose apocrife e sulla vita di Gesù, lo spettacolo può vantare un linguaggio colto e sottilmente caustico e al contempo la capacità di essere di grande impatto per il pubblico, che applaude divertito.

 

Spettacolo attualizzato all’oggi

Il tutto è attualizzato ai nostri giorni, con un Paolo Rossi in forma smagliante accompagnato, per tutta la durata dello spettacolo, da un menestrello che gli fa da spalla. L’ingresso in scena è dei due vestiti da fraticelli che giocano sui rispettivi nomi: “Fra-Stornato…Fra-Inteso” e si proclamano ironicamente degli “ancièns prodiges” e dei “decompositori” che storpiano i pezzi musicali. La pièce godibilissima e dal ritmo incalzante è una rocambolesca avventura in cui il Paolo Rossi giullare spara a zero sul disfacimento della società di oggi e sulla corruttibilità delle massime Istituzioni che la rappresentano.

 

Nessuno si salva

Il dissacrante comico non risparmia alcuno: descrive le gesta politiche ed extra-politiche di Berlusconi senza mai nominarlo, attacca il Papa perché simbolo dell’eccessivo lusso di cui si fregia il mondo clericale, sottolinea i danni provocati dalla globalizzazione, per cui a pagarne le conseguenze sono ancora i più deboli e i più poveri. A tal proposito riportiamo due battute di scena che, in quanto portatrici di ilarità, sembrano scongiurare una realtà ben realtà ben peggiore: “C’è un adagio popolare passibile di due diverse diciture a seconda che sia riferito al povero o al ricco: per il povero vale il detto fatta la legge, bisogna trovare l’inganno; per il ricco è che fatto l’inganno,

bisogna rifare la legge”. Rossi incalza: “Se la gente ha un bene comune, è necessario che lo divida perché più esso viene diviso più si moltiplica”.

 

Un teatro che diverte

Lo spettacolo di Rossi è il teatro che diverte e che fa pensare, che accusa, che spinge all’indignazione ma che non lascia l’amaro in bocca. Anzi: questa pièce è il manifesto di un popolo che ha la forza di cambiare

in meglio la propria esistenza e di salvaguardare i propri diritti, tramite la voce del giullare medievale o comico (per dirlo in termini moderni).

 

La risata? Un grande dono del cielo!

A quest’ultimo si deve la forza della risata che è “…un grande dono del cielo” dice Rossi in palcoscenico e aggiunge: “Dietro un comico non c’è un talento innato, ma vicissitudini sfortunate o storie di sopraffazione che lo hanno stimolato ad aguzzare, per necessità, l’ingegno”.

 

Gesù oggi? Un immigrato!

L’attore ci spiega anche un’altra simbologia, quella della figura di Gesù Cristo. In scena si chiede: “Chi sarebbe Gesù se fosse oggi tra noi? – risponde – Sarebbe un immigrato. Anche Gesù era un clandestino eppure era un re: egli fu prima accolto, ammirato, poi perseguitato e giustiziato”. In scena incombe la presenza del fantoccio Goran, vestito come un uomo in carne e ossa, ma fatto di carta pesta. Goran è il rappresentante di tutti gli immigrati e di tutti noi che siamo clandestini nel nostro stesso paese, in attesa del permesso di poter usufruire di ogni diritto, quel diritto che dovrebbe spettarci per legge ma che ci viene, al limite, elargito, solo per gentile concessione di chi ha provveduto a impossessarsi dei piani più alti della società.

Raffaella D’Adderio

 

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