Una sentenza della Corte di cassazione
Il numero giusto non è più 144-144… (rimembranza di una ex linea telefonica hot), ma 44940, attualissima e recente sentenza della Cassazione circa il divieto di parlare delle relazioni sessuali altrui sul posto di lavoro. Il veto della Cassazione è di risposta a un caso del 2010, dove scena del conflitto è una filiale bancaria di Torino. Un cliente, vistosi respinto dopo le sue avances a un’impiegata, si vendica riferendo al direttore della filiale di un flirt clandestino tra la stessa e un collega sposato. Due gli elementi che rendono il caso incandescente: il corteggiatore scopre la liason segreta con l’ausilio di un’investigatrice privata, i rumors arrivano sino alle orecchie della consorte tradita che minaccia denunce. Risultato, condannati sia l’investigatrice che il cliente: per violazione della privacy la prima, per il medesimo reato e per quello di diffamazione il secondo. Infatti, proprio questi sono i rea-ti contestati nel caso specifico del pettegolezzo perpetrato ai danni di qualcuno, in un ambiente ristretto come quello di lavoro. Vittime l’adulterino e l’altra parte in causa, che ne risultano danneggiati sul piano lavorativo e su quello della reputazione, così come i malcapitati terzi (moglie tradita, ma non parte in causa) a cui di riflesso si arreca danno. A nulla sono valse le ragioni addotte dal cliente in merito al fatto che l’impiegata indossasse abiti succinti sul posto di lavoro e che risultasse disdicevole, per il decoro dell’ambiente in questione, l’esistenza di una relazione tra colleghi. La Corte di Cassazione ritiene irrilevanti tali elementi perché in alcun modo incidono sul rendimento professionale. L’unica rilevanza di fronte alla legge si sarebbe verificata se il cliente avesse lamentato concreti danni subiti per la negligenza professionale dell’impiegata. Ci chiediamo: come mai l’attempato cliente, anch’egli, un tempo, evidentemente sedotto dalle minigonne dell’avvenente impiegata, ora l’addita come farebbe il peggiore dei moralisti? Crediamo che, in realtà, sia il suo atteggiamento da stalker a offendere la sensibilità e la professionalità della dipendente, che, sul posto di lavoro, ha avuto sicuramente meno chances di difendersi da un attacco sferratole in modo tanto vigliacco. Se l’incauto innamorato l’avesse fermata per strada e detto a chiare lettere di sentirsi deluso da un rifiuto (per un amore solo immaginato), avrebbe lasciato alla signora la possibilità di poterlo liquidare direttamente e senza fraintendimenti di sorta, anche perché lontana dai condizionamenti delle formalità da rispettare in un luogo di lavoro. Ovviamente, se il cliente fosse stato ricambiato, si sarebbe ben guardato dal procedere a ritorsioni tanto basse. Non ci sentiamo di provare tenerezza per questo signore che non ha avuto il buon gusto e la cavalleria di saper accettare, con dignità, il rifiuto di una bella donna. In casi come questo, non esiste la tensione amorosa, ma solo una sorta di patologia. Oggetto di quest’ossessione: il sorriso, la grazia, la sinuosità di un’impiegata che, forse, era riuscita inconsapevolmente a ridare colore alla quotidianità un po’ triste di un uomo annoiato e non più giovane. Allora ci rivolgiamo direttamente a lui: “Ehi Carlo D., quella luce speciale e quella voglia di essere ogni giorno più bella dell’impiegata dei tuoi sogni non erano merito tuo, ma di qualcun altro che, a modo suo e anche sporcandosi un po’, le sapeva dare un po’ di felicità. Dovresti essere grato a quell’uomo: se non fosse stato per lui, tu non avresti potuto godere della magnifica energia di questa donna che ha riempito le tue giornate. Carlo D., ma credi che sia facile lavorare a contatto col pubblico mantenendo sempre il sorriso e il buon umore? Chi ci riesce con tanta carineria è perché indubbiamente ama il proprio lavoro, ma prima di tutto perché è appagato dalla propria vita privata. Da quanti dovremmo sentirci delusi noi di Macerata che, quando andiamo agli sportelli della Posta Centrale della città, ci troviamo di fronte solo impiegate che profferiscono male parole un giorno sì e l’altro pure? E che dire di quando, recandoci in una biblioteca di corso Cavour, ci accoglie una corpulenta signora che invece di parlare “abbaia” e gesticola come un camionista? Signor Carlo, vivi e lascia vivere… Una volta era un onore fare la corte a una donna a prescindere dal risultato; oggi anche questo valore si è perso nella ricerca spasmodica del “possesso” di ogni tipo e a ogni costo.
Raffaella D’Adderio