Il mio primo anno di scuola!
La prima nomina come insegnante l’ho avuta in un paesino della montagna maceratese, che conoscevo bene per abitarci una sorella di mio padre frequentata da me sin da bambino. Impatto quindi meno forte anche se l’emozione fu tanta. Tra i tanti ricordi di quel periodo due mi sono rimasti più vivi nella mente e riguardano due personaggi veramente particolari. Il primo riguarda un bambino che frequentava la prima media, classe poco numerosa e che, quindi, avevo avuto modo di conoscere bene in poco tempo. Colpito dal suo modo di fare, dopo una settimana chiedo ai colleghi del paese chi fosse quel ragazzino e loro mi spiegarono che era il figlio di una coppia che lo avevano avuto in età avanzata, stava in campagna con in casa solo i genitori e i nonni materni: vivevano pressoché isolati. Questo mi fece capire la situazione. Infatti lui, pur avendo 11 anni, si comportava come un sessantenne avendo avuto come esempio solo persone anziane. Il suo modo di parlare, la sua mimica, i suoi movimenti erano quelli di una persona molto avanti con l’età. Il contrasto fra la sua presenza fisica e il suo modo di comportarsi erano evidenti e facevano nascere, spesso, ilarità. Un giorno tornò a scuola dopo un’assenza abbastanza lunga per cui gli chiesi se se la sentisse di fare ginnastica. Mi guardò, si appoggiò con una mano alla cattedra e, sedendo piano piano sulla seggiola, mi disse con esasperante lentezza, quasi fosse un novantenne: “None professò’. Ciagghjo ‘n certi ngricci jò ppe’ le spalle e me dole lu filu de la schjena che non cào manco a rcoje ‘na mujica da per terra! Se a te non te ‘mporta io vurrìa sta’ ancò’ un po’ reguardatu, ‘ccucciatu ecco ‘ccanto sinza dàtte fastidiu”. Non fu facile trattenersi dal ridere: il ragazzo era fatto così! Devo dire che alla fine dell’anno eravamo diventati buoni amici. Quando, dopo una ventina di anni, mi ha rincontrato è venuto a salutarmi, ricordandomi i vari episodi del tempo della scuola. L’altro personaggio era un simpatico vecchio le cui battute erano diventate lo spasso del paese e finivano spesso nei racconti degli abitanti. Lo conoscevo bene. Un pomeriggio, stavamo seduti davanti al bar, in piazza, quando arrivò lui. Cordiali saluti e, poi, uno dei presenti gli chiese: “Che è successo? Sono quasi tre mesi che non ti abbiamo visto in giro!” E lui: “Gesù Bambino, quest’annu, drento lu carzittu ‘ppiccatu su lu camì’ immece de li portugalli e de li turruncì’ me ci ha fatto stroà’ ‘na vroncopurmunite e allora so’ statu ‘llettatu du’ mesi e, pe’ ‘n’antri trenta jorni, lu medecu m’ha fatto sta’ reguardatu drento casa”. Al che dissi: “Però adesso stai bene: hai un bell’aspetto!” E lui pronto: “Certo, so’ scappatu ammò da lu varbiere che m’ha ‘ccongiato li capiji ‘ché ce l’avìo cuscì lunghi che me ‘rriàva su le spalle!” Intervenne uno dei presenti dicendo: “Beh, come capellone eri più bello!” Pronta fu la risposta del vecchio: “Scì, capirai… ‘gni orda che passavo vicino a la metelléga me parìa che me guardava vrutto… come se me volésse tosà’ essa!” Da allora sono passati tanti anni e conservo ancora, in un angolino del mio cuore, il ricordo di questi due personaggi, strani sì ma vivi e veri!
Cesare Angeletti