a cura di Fernando Pallocchini e Filippo Davoli
Cippe: “Secondo te Macerata è capoluogo?”
Ciòppe: “Secondo me è un equivoco”.
Cippe: “Un equivoco?”
Ciòppe: “Un equivoco perché non è una città ma un paese, anzi un paesotto con tutti i benefici conseguenti; ci si vede in piazza, scambi due parole con chi incontri, conosci tutti. La ridotta dimensione permette di girarla in poco tempo, di sentirla propria in quanto piccola: è perfetta in quanto non è una città”.
Cippe: “Scriveva Affede: Macerata, che slargata de vocca a numinalla…”.
Ciòppe: “Infatti, lo rempiccése la vocca è la prova provata che non è una città!”
Cippe: “Oggi Macerata è sovrastata da Ancona…”.
Ciòppe: “Angona ce l’ha de la città, dicìa ‘lla pora mamma, ma ad Ancona mai vivrei, proprio perché è città”.
Cippe: “Un paesotto può essere capoluogo di provincia?”
Ciòppe: “Sì, altro che! E poi abolirei le Regioni più che le Province. Vedendo come ce tratta la Regione me pija le fandijole! La Regione Marche è una Provincia di Ancona raddoppiata: Ancona ne ha due e non una, cavolo! Ce duvìmo tené’ le pruvingie… caso mai sarebbe da fare una grande Regione dell’Italia centrale”.
Cippe: “Secondo me Macerata non è più in grado di essere capoluogo, sono i maceratesi a non sentirsi una guida, infatti esprimono dei politici mediocri, portati più a difendere piccoli interessi che ad avere una visione allargata del territorio, propria di chi unisce e coordina”.
Ciòppe: “Se volesse invece sì. Sarebbe da tenere viva la memoria dei monumenti umani che hanno resa grande questa piccola città, onorare la storia locale, salvaguardare la cultura, la civiltà, i personaggi, il dialetto; e chiaramente in una funzione memoriale alta, non grottesca, non solo folclorica, perché la lingua è sempre costitutiva dell’indole di un popolo; è la manifestazione più prossima della nostra identità, della nostra natura, che è tipicamente nostra e non è assimilabile a quella di Ancona o di altre zone; il maceratese si accosta più verosimilmente al fermano. Del resto, l’area picena classica, per così dire, era quella compresa tra Macerata, Fermo e Camerino. Questa nostra storia, dunque, andrebbe onorata; anche attraverso
i personaggi maceratesi non solo illustri, ma anche quotidiani; che però, a modo loro, hanno significato un tempo e un modo di essere maceratesi. Che so, penso a Flavio “Fruscì” Antonelli, a Mario “Ermete” Buldorini, ai farmacisti Cappelletti e Filipponi, a “Remigio meccanico prodigio”… C’è tutto un mondo da salvaguardare, da recuperare, da far circolare nel sangue delle nuove generazioni tramite gli occhi innamorati di chi gli trasmette una memoria; e ci sono ovviamente anche i politici che hanno aiutato questa città a crescere, questo paese a diventare una piccola città; che ci hanno creduto, che le hanno voluto bene!”
Cippe: “Eh, già… molti nemmeno sanno che un tempo Macerata era la capitale della Marca di Ancona… secondo me oggi i politici mancano di qualità fondamentali quali la capacità di ascolto e la dedizione verso il prossimo”.
Ciòppe: “Per me è già tanto se i politici attuali sanno che cos’è la politica. Che è appunto la fortuna, il destino, della polis; credo che a monte ci sia da fare un discorso un po’ più ampio, epocale direi. Credo cioè che una delle matrici di questo imbarbarimento risieda nella relativizzazione di tutto. Ha cominciato il mondo della cultura, da quando quelli del Gruppo ‘63 dicevano che la poesia è morta, che la storia è finita; il mai troppo rimpianto Petronio, su cui tanti di noi hanno studiato (e che ho avuto la fortuna di conoscere) attaccava duramente questi del Gruppo ‘63; i quali però sono stati furbi, non hanno fatto l’avanguardia dalle barricate bensì dalle cattedre universitarie, dalle direzioni dei giornali, dall’editoria, dalla Rai, e quindi avendo in mano strumenti di penetrazione sulla massa molto forti, per non dire dilaganti e anche rovinosi. Hanno sovvertito tutto; poi c’è anche stato un riflusso, per così dire; ma quando tu distruggi gli assi portanti del sistema e una casa crolla, non è che dopo la rimetti su in due minuti: è più facile demolire che ricostruire. E questo è ciò che è successo a noi, per cui adesso fai fatica a ricostruire, perché sono venuti meno gli assi portanti. Io da cristiano aggiungo che lì dove è venuto meno anche il pudore nel fare le cose per un’abitudine al senso del peccato, il relativismo morale ha partorito mostri (anche a livello politico e amministrativo, voglio dire). Ma non volendo entrare nel tema cristiano o solamente religioso, sta di fatto comunque che anche a livello culturale avere relativizzato tutto e aver previsto la chiusura del cielo, cioè l’impossibilità di futuro e quindi la necessità di barcamenarsi nel presente alla meno peggio, chiaramente poi ha originato mostri”.
Cippe: “Vedendo i comportamenti dei politici che amministrano non sono portato all’ottimismo e non vedo grandi speranze profilarsi all’orizzonte, almeno in un futuro prossimo”.
Ciòppe: “Beh… li politici adè sembre òmmini, fa parte de la nostra società, non è che ce rappresenta per statutu: ce rappresenta perché nasce e cresce in mezzo a noi, anzi: simo noialtri. Che speranze ce sta che càmbia’ le cose? Penso che la speranza adè che lu maceratese rtroa la propria dignità, le proprie qualità, la propria tenacia operativa. Un segnale molto importante m’era parso quello de Marco Sancricca, lu vardasciu che avéa ‘ngumingiato a ‘rcoje li quatrì’ pe’ li fochi! Cioè, se per primi i maceratesi investono su se stessi e sulla loro città e questo chiaramente comprende anche la politica non è che li partiti casca da le piante! La jende che ce sta sembre de qui adè! E parlimoce chiaro: chi adè, a esempio, che non sa li nomi de quilli che cementifica? Li sappiamo tutti, ma forse siamo rassegnati vedendo come vanno male le cose anche a livello nazionale. Invece dovremmo nutrire un po’ di sano egoismo e intanto métte’ in salvo casa nostra!”
Cippe: “Mah, più che di rassegnazione, a questo punto, parlerei di consapevole connivenza. Il partito del mattone a Macerata in questi ultimi decenni ha preso piede e rappresenta esso stesso il potere, con i politici al suo servizio, almeno quelli che contano. Questo ha portato a una condizione di servilismo in una città povera di lavoro industriale e ognuno è attento a ricavarne un suo piccolo utile. Questo atteggiamento fa sì che tutti siano attenti a non pestare i piedi dei potenti, smorza le proteste, fa subire in silenzio (poco conta lo rognecà’ che si fa sotto sotto) le manchevolezze e gli sperperi. E’ d’uso comune in città la frase: ma dopo quissi che me fa? Con il pensiero rivolto alla cortesia da chiedere per sistemare un figlio. Tutto questo ha determinato nei politici la perdita di quel sano spirito di servizio verso gli altri che è il sale e la salute della democrazia. In pratica stiamo vivendo un imbarbarimento della civiltà democratica, la nostra è una società che si sta avvitando su se stessa verso il basso perché hanno preso piede consuetudini impregnate di egoismo. Ognuno per sé e che gli altri si arrangino. Quando il motto diventa questo la città non cresce, anzi perde i titoli di merito conquistati dagli avi. Quando reagiranno i maceratesi? Quando prenderanno coscienza che è il loro gretto comportamento a tenerli relegati in questa stasi soporifera?”
Ciòppe: “Lo dico con un po’ di romanticismo quasi foscoliano, ma insomma: se li maceratesi tira fòri le palle (perché li maceratesi, se vole, le palle ce l’ha…), se ‘sse ricorda chi adè e da do’ vvène, se non se lascia jì (perché intanto Fermo e Citanò cresce e tra un po’ ce lèa tutto… e attenzione! se lo meriterìa de leàcce tutto, continuando ccuscì…), io penso che Macerata ha ancora un cuore granne, un’attitudine a una crescita sana e sapiente, una sorta di luminosità operativa. In questo senso, penso pure che è per noi un aiuto grandissimo che ci sia la provincia di Fermo, perché un po’ di campanilismo forse ci risveglia da questo stato comatoso che ci precipita ogni giorno più in giù, senza soluzione di continuità. Ho fatto scuola d’italiano a ragazzi stranieri per diverso tempo. Ho scoperto che, quanno je raccondo de li maceratesi de ‘na ‘ota, quissi se ‘nnamora, va a vedé’ li posti, se ‘nforma, se sende anche se non se ne ‘ccorge un po’ maceratesi pure loro! È un fatto importante. Significa che hanno una innocenza e una ricettività legate al bisogno di radicamento che noi abbiamo snobbato. Ma è una necessità umana, a qualunque latitudine. Credo certamente, invece, che dobbiamo recuperarla. Sono, in questo, fermamente antignostico: per me è fondamentale che Gesù Cristo sia nato in un luogo preciso e in un tempo preciso”.
Cippe: “A me me pare che, cuscì come camina le cose, non è per ogghj…”.
Ciòppe: “So’ d’accordo: ce vorrà un po’ de tempo perché le cose vaca a pposto. Però, se non ‘ngumingimo mai… Temo che la generazione nostra dovrà morire nel deserto, come quella di Mosè… ma dietro di noi ne viene un’altra, e Petronio aveva ragione: la storia non è finita. Va avanti, volenti o nolenti quelli convinti che loro non moriranno mai. Sogno, per Macerata, un futuro pieno di maceratesi da generazioni insieme con neomaceratesi, nati qui da genitori di chissà dove, che si innamorano della loro città come succedeva quando, in teoria, andava peggio”.
Cippe e Ciòppe: “Adesso jimo a magnà’ du’ nuce, che per ogghj ce le simo guadambiate!”