Dalle Marche alla Lucania: storia di una diversa immigrazione

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A Melfi il protagonista è Federico II, che si spostava lì da Jesi per trascorrere la stagione estiva, nel magnifico castello ancora esistente. Forse un contatto fra i due luoghi è rimasto nel tempo, e spiega meglio la storia che segue. Da una ricostruzione genealogica del casato Lanari di Varano di Ancona, un antenato risultava presente in Montecchio Bagni, frazione di Rionero in Vulture (Potenza), nel 1760. Alla fine del 1800 Annibale e Ubaldo Lanari, brillanti imprenditori, furono impegnati nella costruzione delle linee ferroviarie Benevento-Avellino e Rocchetta Ponte Santa Venere-Avellino. Dopo un viaggio alle pendici del monte Vulture, nel 1892 decidono di acquistare una tenuta di 5000 ettari, quasi interamente boschiva, appartenuta alla Badia di Monticchio e divenuta demaniale dopo la soppressione degli Ordini religiosi, entusiasti delle bellezze del posto ma soprattutto attratti dalle potenzialità economiche che offriva. Per niente intimoriti dallo stato dei luoghi, noti per essere la boscaglia dei briganti, con poche e pessime strade, i laghi e i corsi d’acqua non curati e regno dell’anofele, si trasferirono a Monticchio e investirono molto denaro per realizzare il loro progetto: creare una delle aziende agricole più all’avanguardia della Regione. La superficie coltivabile fu aumentata disboscando le zone vicine all’acqua, adatte alla creazione dei poderi; al centro di ogni podere fu costruita una casa colonica sul modello di quelle marchigiane: al piano inferiore la stalla, il forno, la cantina, un ricovero attrezzi; al piano superiore le camere, la cucina e il magazzino. Ogni casa aveva un’aia murata di 100 mq per essiccare i cereali e collegata alla rotabile. Vennero piantati gelsi, castagni, noccioli, viti; vicino all’abitazione una piccola area era destinata all’orto. Il podere annesso era diviso in quattro parti: due destinate a grano, una a foraggio, e l’ultima sarebbe stata coltivata metà a mais e metà a fave o foraggio per il bestiame. Ogni podere aveva vacche (marchigiane e romagnole), suini, ovini, e un’adeguata moderna attrezzatura tecnica. Una volta sistemata la tenuta e realizzate le infrastrutture, i Lanari fecero arrivare i coloni e nel 1929 c’erano 27 famiglie, scelte perché persone abituate alla mezzadria, oneste, disciplinate, attive, non dedite a vizio e di sana costituzione fisica. Di queste famiglie 23 giunsero dalle Marche: Jesi, Osimo, Fano, Chiaravalle, Montemarciano, Falconara, Varano, Ancona, Appignano. Ancora oggi troviamo in quei luoghi i cognomi marchigiani Ghirlandini, Della Rossa, Torreggiani, Crudeli, Luciòli, Ronconi, Sabbatini, Pallotta, Cavalli, Ambrogi, Corinaldesi, Civerchia, Polverari, Sena, Lela… L’Azienda Lanari di fatto creò una sorta di tribù autosufficiente e isolata dalle altre comunità del posto, con la sua chiesa, la scuola, l’ufficio postale, la rivendita di sali e tabacchi, due stazioni ferroviarie vicine. Oltre alle attività tipiche agricole, e cioè gli allevamenti di bestiame, di bachi da seta, colture di cereali e tabacco, vigneti, frutteti, vennero sfruttate anche le altri fonti di reddito: commercializzazione delle acque minerali (per esempio la Gaudianello), la valorizzazione degli impianti termali, la realizzazione di centrali idroelettriche, di un caseificio, di una fabbrica di concentrato di pomodoro. Di tutto ciò oggi restano una targa sulla piazzetta, e l’intitolazione della stessa alla Famiglia Lanari, insieme con i ricordi dei marchigiani che ancora vivono li, con i quali oltre alle origini, abbiamo da condividere il dramma terremoto, che nel 1930 loro hanno vissuto (sisma del Vulture) e pure nel 1980 (sisma Irpinia).

Simonetta Borgiani

Fonti: tg7basilicata.blogspot.it, lucania1.altervista.org, articolo “un esempio di colonizzazione in Basilicata” di Costantino Conte, “i Lanari e Monticchio” di Michele Traficante, e grazie al racconto di viaggio di Paola e Giancarlo.

8 agosto 2017

 

 

 

 

 

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