M.G.H.

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Allo scoppio della prima guerra mondiale la Germania aveva dei possedimenti in Campidoglio, a Roma, tra questi il “Palazzo Caffarelli” sede dell’Istituto Archeologico Germanico e della sua biblioteca specializzata. In quegli anni il Governo italiano mise i sigilli ai locali rimandando la questione della presa di possesso delle proprietà immobiliari, e di quanto in esse contenuto, al dopoguerra. La questione fu lungamente dibattuta, in particolare riguardo al concetto di “proprietà” delle migliaia e migliaia di libri antichi, donati o acquistati, provenienti da tutta la penisola; alla fine Il Governo pur affermando il diritto per l’Italia di incamerare l’Istituto, accolse la proposta del Ministro dell’Istruzione pubblica Benedetto Croce di non requisire la biblioteca, ecco due salienti corrispondenze: Benedetto  Croce al Sottosegretario agli esteri Carlo Sforza, 30 giugno 1920: “Una biblioteca non è un’accolta materiale di cose, ma una unità ideale che porta l’impronta del suo creatore: togliere, per diritto di Guerra alla Germania la biblioteca dell’Istituto archeologico, salvo, magari, a versarne l’importo, non mi sembra una cosa degna delle nobili tradizioni della civiltà italiana e della cultura italiana”. Sottosegretario agli Esteri Carlo Sforza all’incaricato d’Affari tedesco a Roma von Herff, 10.8.1920: “Ho l’onore di informare la S.V. Ill.ma che malgrado risultasse indiscutibile alle disposizioni del Trattato di Versaglia, il diritto dello Stato Italiano di incamerare la biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico in Roma, il Governo italiano, in considerazione del carattere culturale dell’Istituto e dell’importanza che i cultori e studiosi della scienza archeologica tedesca annettono alla biblioteca suddetta, tangibile risultato della loro attività, è venuto nella determinazione, per dar prova degli amichevoli intendimenti dai quali è animato verso la Nazione Tedesca, di non esercitare tale suo diritto e di restituire i libri della biblioteca con i relativi scaffali”. Quali potrebbero essere state le motivazioni e le trattative non scritte e non note le lasciamo maturare al lettore, ci preme intanto presentare qui di seguito un piccolo riassunto della storia di questo Istituto Germanico, il cui insediamento in Campidoglio pare avesse causato “mormorii degli intellettuali e degli archeologi italiani dell’epoca”, sicuramente gelosi custodi  delle nostre cose ma, forse, perché avevano intuito altro…

 

L’Istituto Archeologico Germanico

Ecco il Manifesto dell’Associazione: “L’Istituto di corrispondenza archeologica, fondato in Roma sin dall’anno 1829 sotto la protezione di Sua Altezza Reale il principe ereditario di Prussia, ha per obbietto di coltivare e propagare gli studj archeologici, principalmente per via di corrispondenza e di scambievoli comunicazioni. (…) Mira principale dell’Instituto è metter luce e far conoscere in generale i monumenti ignorati o negletti, annunziare le avvenute scoperte e le dichiarazioni intorno quelle pubblicate dal 1829 in poi, incoraggiare e secondare ogni impresa che alla utilità questa scienza sia rivolta.

Membri onorari (20): quelli che per escavazioni, raccolte, pubblicazioni incoraggiano le archeologiche ricerche;

Membri ordinari (10): Archeologi, filologi, artisti;

Soci corrispondenti: sono coloro che comunicano all’Instituto le notizie delle scoperte nelle loro contrade, amatori di antichità in grado di comunicare all’Instituto speciali notizie o memorie. Sono inoltre tenuti a soddisfare alle questioni che possono esser mosse dall’Instituto istesso, riguardo ai luoghi da essi abitati o conosciuti;

Associati: coloro che acquistano le pubblicazioni dell’Instituto.”

 

Le trasformazioni

Da wikipedia: Nel 1823, fu fondato a Roma il “Circolo degli Iperborei romani”. Gli Iperborei erano un gruppo di quattro intellettuali nordici (A. Kestner, O. Magnus von Stackelberg, E. Gerhard e Th. Panofka) che si riunivano per leggere classici e per esplorare le antichità di Roma e dei suoi dintorni, in nome di un mitico popolo collocato ai confini del mondo abitato. Presto il Gerhard – la vera forza scientifica degli Iperborei – progettò la nascita di una vasta organizzazione internazionale, cui fu assegnato il compito di curare la redazione di una rivista scientifica e la pubblicazione dei monumenti inediti e nel 1829, grazie all’aiuto del principe ereditario di Prussia Federico Guglielmo, fu fondato il nuovo Instituto di Corrispondenza Archeologica. Obiettivo dell’Instituto era quello di raccogliere notizie riguardanti l’archeologia tramite soci corrispondenti sparsi in Italia e all’estero e di pubblicarle in periodici scientifici: il Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica e gli Annali. L’internazionalità dell’Instituto  era garantita  da una  direzione composta da italiani, tedeschi, francesi e inglesi e da un protettore quale era il principe Federico Guglielmo. Nel tempo l’Instituto, con la biblioteca, che nel frattempo si era formata, finì per diventare un centro di studi archeologici in Roma e nel 1871 entrò a far parte delle istituzioni scientifiche del nuovo impero germanico. È questo il momento in cui l’Instituto di Corrispondenza Archeologica si nazionalizza, per trasformarsi in Istituto Archeologico Germanico.

 

L’identità nazionale tedesca

Circa 75 anni dopo il principio della internazionalità degli studi archeologici venne riproposto da una nuova associazione, l’Associazione Internazionale di Archeologia Classica (AIAC) che rappresentò il vero erede spirituale del primo Instituto di Corrispondenza Archeologica. Nell’anno 1945, si realizzò, con l’adesione di studiosi olandesi, belgi e rumeni, quel progetto che un ristretto nucleo di archeologi italiani, svizzeri, statunitensi, inglesi e svedesi avevano elaborato già sul finire del 1944: la creazione di un’associazione che “facesse da sponda e incrementasse i sentimenti di cooperazione internazionale e di comunanza culturale come risposta della comunità scientifica mondiale agli orrori della guerra”. Una tale organizzazione, capillare e prolifica in pubblicazioni (Monumenti Inediti, Annali, Bulletini, Rapporti) che saranno spediti a 400 selezionate persone …a quale scopo? Che interesse hanno queste persone ad avere il dettaglio di iscrizioni, dipinti, calchi di pietre, disegni di architetture lontane? Puramente culturale, o tale solo di facciata? È ancora l’epoca del “Grand Tour”, e l’antico va molto di moda. A nord delle Alpi però, non si trovano molti reperti, non c’è una mitologia, non ci sono molti antichi testi. E allora per unire in un unico popolo le genti germaniche, bisognava creare l’identità nazionale.

 

M.G.H.

Si stava scrivendo il testo di riferimento, l’MGH Monumenta Germaniae Historica, facendo propri gli eroi giusti, che però erano nati e vissuti altrove… E qui entrano in campo i “soci corrispondenti”, studiosi rigorosi e sinceramente appassionati di storia, il cui lavoro di ricerca, catalogazione, e spesso acquisizione di antichità sarebbe stato utilizzato da altri “specialisti” per cancellare, bruciare, riscrivere modificando nomi e luoghi, facendo sparire o deportando oggetti: un lavoro enorme! È difficile capire quanto questi corrispondenti fossero consapevoli del loro contributo alla “creazione” del mito dell’identità ariana, necessario per unire spiritualmente e poi politicamente, un nord Europa che in realtà una gloriosa storia antica non l’aveva. Dal Rapporto per l’anno 1833, risultano iscritti 24 membri di sangue reale di Sassonia, Assia, Baviera, Belgio, Danimarca, Francia, Prussia, Russia, Sussex. Sono aderenti 46 biblioteche: 16 alemanne, 1 danese, 9 francesi, 5 inglesi, 15 italiane. I restanti dei circa 400 soci sono conti, marchesi, visconti, principi, baroni, lords, professori e titolati vari, sparsi in tutta Europa, e nelle principali città italiane. Tutto e tutti ovunque a esclusione delle Marche. Come mai nessuna biblioteca aderente, e nessun socio, almeno i primi anni, dal Piceno? Curioso, considerando la presenza di antiche e prestigiose università come Camerino (1336), Macerata (1290) e Urbino (1506).

 

Nelle Marche… poco, quasi niente

In tutti i numeri dei Bollettini visionati, abbiamo trovato solo i seguenti articoli relativamente alla regione Marche: Fermo – scavi del 1857, ritrovamento di una iscrizione di vita militare; Pievetorina – rapporto del conte Servanzi Collio sul ritrovamento di una necropoli;  Fano – ritrovamenti di oggetti presumibilmente votivi; Cingoli – descrizione iscrizioni attribuite a Publio Cornelio Licino Salonino; Cupra e Ripatransone – descrizione degli anelli di Cupra. Un po’ poco… L’interesse nei confronti delle Marche sarà comunque molto vivo a partire dal periodo fascista, come su La Rucola è stato già raccontato con i seguenti articoli:

http://larucola.org/2016/10/22/una-strana-nebbia-gravita-sullabazia-di-san-claudio/

http://larucola.org/2016/11/21/quel-bock-birbante-di-un-prete-canonico-di-aachen/

http://larucola.org/2017/01/20/la-mummia-scomparsa/

http://larucola.org/2017/04/05/abbazia-di-san-claudio-al-chienti-3/

 

 

Nota a margine

Una cosa viene spesso, e purtroppo, sottolineata già nei primi anni nei bollettini dai corrispondenti: la sconsiderata tendenza dei proprietari, mezzadri, antiquari, collezionisti di far sparire velocemente gli oggetti più belli e più preziosi, che saranno nascosti o venduti, distruggendo il resto, con grave danno economico e culturale per tutta la collettività.

Simonetta Borgiani

16 giugno 2017

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