Il rosso fiore della violenza, XXXV puntata

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Il gruppo rimase in silenzio. Nessuno ebbe domande da fare. Alberto li fissava uno per uno valutandone l’affidabilità. Il suo sguardo indugiò un po’ più a lungo su Angela che, arrossendo, abbassò gli occhi perché lei non sapeva mai reggere il freddo bisturi del suo giudizio. Certamente lei rappresentava l’incognita di quella equazione di violenza, perché non aveva mai partecipato a una missione così importante e così rischiosa. Alberto sapeva anche che la molla dell’amore che nutriva per lui riusciva a farle fare anche cose contro la sua natura, non necessariamente aggressiva e battagliera. Il problema vero era la durata della sua tenuta: per quanto ancora avrebbe resistito a quel ritmo martellante? Se i suoi nervi avessero ceduto cosa ne avrebbe fatto di lei? Giudicandoli prematuri, per il momento scacciò dalla mente simili pensieri. Angela era in preda a un vero turbine di emozioni. Quella sua paura del poi, delle conseguenze, del rischio di coinvolgere innocenti, non l’aveva abbandonata mai. Perce-piva che in un’azione come quella poteva accadere di tutto. Ne pesava mentalmente le responsabilità e le conseguenze e non sapeva mai trovare una giustificazione valida. Lei non aveva un convinto deterrente ideologico che la ponesse al sicuro dai suoi dubbi e dai tentennamenti: guardò istintivamente in direzione di Katia e non poté fare a meno d’invidiare la sua freddezza e la sua sicurezza. Per giunta quella era anche la prima volta che avrebbe agito senza il supporto della sua compagnia e quindi senza il suo valido aiuto. Smise subito di angustiarsene poiché capiva che non poteva farci niente: lei era lei e nessuno aveva il potere di cambiare la sua natura, nemmeno Alberto o l’amore di Alberto. Rimandò ogni altra valutazione al momento dell’azione, augurandosi che tutto filasse liscio. Si sentì orgogliosa che Alberto avesse affidato a lei il difficile compito di salvaguardare la sua incolumità, affidandole la sua moto e la sua pistola e di ciò fu molto felice: finalmente il suo amore era riuscito ad aprire un varco in quel suo cuore di ghiaccio e che quindi, d’allora in poi, si poteva sentire autorizzata a sperare che anch’egli l’amasse tanto quanto lei. Ciò le procurò un intenso piacere e la certezza di credere in un futuro migliore. Ormai sentiva di averlo conquistato e quindi lei era ancora più disponile a seguirlo anche sul piano ideologico. Gioiva nel percepire che l’amore, quando è vero e profondo, vince sempre ogni ostacolo. Da parte sua Alberto, invece, stava correndo un rischio calcolato poiché, accettata la presenza di Angela nel suo gruppo,egli aveva interesse a farne un elemento di sicuro affidamento, utilizzabile in ogni frangente. Non poteva permettersi il lusso di avere una palla al piede per il solo fatto che lei lo amasse. In quanto al problema se anche lui fosse altrettanto innamorato di lei, scuoteva la testa, convinto che la miglior cosa per un capo era di non innamorarsi mai e di nessuna, pena le arcinote complicazioni che un sentimento vero può causare: qualsiasi terrorista innamorato perde infatti la libertà e la freddezza dell’agire e si espone alla vulnerabilità del cuore.

 

Il giuramento

Era un giorno di Maggio del 1973, l’aria, pulita e frizzante per una brezza mattutina, faceva sventolare la bandiera tricolore. Al centro del Campo di Marte, troneggiava l’altare, davanti al quale il Cappellano militare, indossando paramenti dorati, stava officiando la messa. Gli allievi disposti in quadrato seguivano compunti lo svolgersi del rito. Ai bordi del campo, una folla di parenti provenienti da ogni regione d’Italia, muta e commossa, partecipava al sacro rito. Occhi pieni di pianto eppure felici, occhi avidi che frugavano tra le file dei giovani per scoprire il proprio caro. I giovani più fortunati, che godevano della prospettiva migliore, scrutavano anch’essi di sottecchi tra la folla, sorridendo circospetti ai nascosti cenni di saluto dei parenti e degli amici, fremendo dal desiderio di correre loro incontro per abbracciarli. Soltanto Mario non aveva nessuno da cercare, perché nessuno era partito dal suo paese per partecipare al suo giuramento. Immobile, e con lo sguardo assente, seguiva il filo dei suoi pensieri. Provava a immaginare quanto grande sarebbe stata la sua gioia se, per magia, improvvisamente avesse scorto tra quella moltitudine di visi anonimi, quelli di suo padre e della sua Carmela. Provava anche a guardare, ma subito vi desisteva, convinto com’era che il suo era un pio desiderio irrealizzabile. Si consolava pensando che se essi non erano lì fisicamente lo erano certamente spiritualmente e ciò gli concedeva un po’ di sollievo. All’ “Andate in pace la messa è finita!” tutti i presenti ebbero un attimo di smarrimento, ma lo stentoreo ordine di attenti dell’Istruttore, riportò l’ordine e la compostezza tra tutti, civili compresi. Avanzò il Colonnello Comandante al centro del quadrato e lesse la formula del giuramento. Un coro di voci stentoree rispose:”Giuro!”

(continua)

13 giugno 2017

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