Il fattore e il signorotto

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C’era una volta… questa storia potrebbe iniziare proprio così ma, in effetti, la vicenda che vado a narrare è accaduta veramente. Non farò nomi perché non  mi sembra bello e alternerò il dire in italiano con quello in dialetto nella speranza di render più viva la narrazione.

Una grande proprietà terriera si estende dalla collina al mare ed è costellata di piccole case coloniche contornate da splendidi vigneti e da rigogliosi frutteti. Vicino a ogni casa c’è un verde orticello e una piccola vigna. Ad amministrare questa proprietà, per conto di un nobile della zona, c’è un fattore, un uomo di mezza età serio e posato che sa perfettamente il fatto suo. È a capo di una famiglia composta dalla moglie e da tre figli piccoli alla cui crescita serena pensa la loro mamma, che dedica il suo tempo alla prole e alle faccende  di casa. L’uomo è preciso nel suo lavoro e rispettoso di quello degli altri. I suoi dipendenti hanno stima di lui e lavoravano bene grazie anche ai suoi consigli. Ma, come in tutte le favole, anche in questa c’è l’orco, impersonato da un signorotto del paese, nullafacente, che per passare le sue inutili giornate, si diverte ad angariare il povero fattore. “Si pòrbio bràu! Hi fatto fà l’aratura de lu campu e li sorchi adè tutti storti. Ma che eriàte tutti ‘mbriachi?” (Sei proprio bravo hai fatto fare l’aratura dei campi ma i solchi sono tutti storti. Ma che eravate tutti ubriachi?) Il fattore, potendo, si allontanava in silenzio. L’incontro successivo: “Hi fatto potà’ le vite e l’hi fatte legà’ ma non vidi che pare le serpe che striscia per tèra tutte ‘ngruvijiate?” (Hai fatto potare le viti e le hai fatte legare ma non vedi che sembrano bisce che strisciano per terra tutte aggrovigliate?). E lui taceva. Fra loro due l’unico a parlare per inveire o sfottere era sempre il signorotto: “Le ‘acche che sta’ ‘ttacate a lu viròcciu non adè domate vè’. Vidi che una tira da ‘na parte e una da ‘n’antra?” (Le mucche che sono attaccate al biroccio non sono state domate bene. Vedi che tirano una da una parte e una dall’altra?). E il fattore sempre zitto. “St’anno de grà’ n’ha fatto daéro tanto e, allora, de sicuro tu n’hi potuto frecà’ ‘n bellu po’. Come se dice: faccio lu fattò’ un anno, o me ‘rricchìscio o me danno!” (Quest’anno di grano ne ha fatto veramente tanto e allora, sicuramente, tu ne hai potuto rubare un bel po’. Come si dice: Faccio il fattore un anno o mi arricchisco o mi danno – vado all’inferno). A questo punto, dopo vari anni di tale trattamento, l’uomo, persona di grande onestà da tutti riconosciuta, colpito sull’onore, reagisce verbalmente e il signorotto risponde con un potente pugno al viso, così forte e così ben assestato, che gli fa perdere l’equilibrio e lo fa cadere svenuto a terra. Il signorotto, invece di soccorrerlo, sale a cavallo e va in paese a vantarsi, con gli amici del bar, di quello che aveva fatto. Il fattore è a terra privo di sensi e il sangue che esce copioso dal naso, gli va in gola e lo soffoca. Muore. Il signorotto fa in modo, usando amicizie e soldi, di far risultare che si è trattato di un incidente e la cosa finisce li. Termina anche il racconto? No! Perché sulla strada che dalla collina di Montecanepino scende al mare, sulla destra, c’è una pietra, modesta, di cinquanta centimetri di altezza, sulla quale è scritto:

Una mano assassina

mise fine alla vita esemplare di

P… F…

Morale della favola? A volte si può mettere una pietra sul passato per dimenticare ma si può, anzi si deve, mettere una pietra per ricordare un padre esemplare, uomo onesto e grande lavoratore, morto per mano di un insignificante, spregevole, abominevole, inutile signorotto di provincia.

27 maggio 2017

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