Il giorno del caffè sospeso

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Prendo un caffè al bar e ne pago due, il secondo sarà per chi non può pagarlo. Antica usanza partenopea che in giro per l’Italia sta riprendendo vita, trasformandosi di volta in volta in libro sospeso, gelato sospeso, pane sospeso, spesa sospesa, grazie a iniziative dei singoli o eventi di un giorno organizzati da bar e negozi. Simpatico sistema, contagioso nella sua leggerezza, e per il suo essere un gesto spontaneo. Purtroppo destinato a spegnersi, soffocato dal momento economico e di cambiamento sociale che stiamo sopportando: qui è tutto un chiedere! Pare di vivere un film di zombie dove si viene assaliti da mostri che ci vogliono mangiare, non si può fare una passeggiata, la spesa al supermercato, pagare (sic!) un ticket di parcheggio che si viene assaliti da persone di ogni idioma e dialetto che con insistenza chiedono soldi. Più che un bisogno, una professione, visto che ai classici zingari e falsi invalidi si sono sostituiti giovanotti molto ben vestiti e dotati di costosa tecnologia, che non disdegnano di afferrare per un braccio i più indifesi, magari anziani, in più di uno, e di sbeffeggiare chi cerca di allontanarli. Ma l’accattonaggio non era vietato? Magari torno a casa e la trovo svaligiata. E nella cassetta della posta c’è una lettera di Equitalia. Storie che erano di ordinaria violenza in tv, proprie delle metropoli e non dei nostri borghi dove fino a poco tempo fa si teneva la chiave sull’uscio. Tradizione tristemente abbandonata, vista l’ultima volta con meraviglia e gioia in un paesino del nostro entroterra la scorsa estate, uno dei pazzeschi paesini senza tempo, con l’aria buona e la gente tranquilla. Temo che pure quella, di chiave sulla porta, non ci sia più.

30 gennaio 2017

 

 

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