I cartelli vengono abbattuti,
ricomincia la strada
accanto alle rovine fumanti,
che disegnano un altro presagio
amaro e impietrato,
con gli anni che risuonano
in un amore diverso,
con una città che cambia volto
non appena mi muovo
da un capo all’altro di essa,
per poi ritornare indietro
e ritrovare angoli vocianti,
case trivellate, cucce vuote,
piante di mimosa rovesciate
nei loro vasi, come se vi avessero
giocato ai birilli
dopo di quel giorno,
quello dell’uomo dei fiori appeso.
Ripasso
e tutto ancora suona diverso,
tutto si affaccia
davanti ai miei occhi
e per i miei occhi,
perché faccia oscurità altrove
nonostante l’ora tarda.
Questa città è il presente
che si veste a tempo
con il passato,
non è luogo da profezie.
Questa città è divenuta
il mio distintivo;
qui per un poco, io faccio centro
e faccio senza
di tante cose,
con un nome d’acqua
e un angelo pieno di pietà
che costeggia le mie emozioni,
sempre la stessa identica ossessione,
sempre lo stesso sogno.
Ma cinica è la mia disillusione;
e dall’ombra dell’impiccato,
che ancora ondeggia,
tra le alte serre, più non mi distinguo.
30 gennaio 2017