Villa Magna dimenticata

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Quando nella primavera del 2003 iniziarono gli scavi esplorativi nel sito conosciuto con il toponimo di Villa Magna,nessuno poteva supporre la eccezionalità dei risultati che seguirono questo primo limitato intervento. Si ipotizzava di operare in un periodo storico che va dai primi insediamenti piceni all’epoca romana, non supportati da notizie storiche ma sulla scorta di ritrovamenti di reperti risalenti a tali epoche, trafugati da scavatori clandestini. Le memorie storiche del luogo erano custodite negli archivi dei frati cistercensi all’abbadia di Fiastra e non includevano i periodi piceno-romani ma andavano dall’alto medioevo fin quasi ai giorni nostri. Infatti i monaci s’insediarono nei luoghi dopo la caduta dell’impero romano; quindi le notizie precedenti per-venivano da leggende e memorie, trasmesse da generazione in generazione, fuori contesto reale. I documenti d’archivio testimoniavano l’evolversi dei luoghi per più di mille anni. Il potere passato tra famiglie nobili, le eredità, i lasciti, le donazioni all’abbadia, il succedersi delle lotte medievali, non erano incidenti ai fini degli scavi, tuttavia alcune informazioni risultarono utili per non creare problemi di attribuzione relativi a ritrovamenti di altre epoche, come la presenza sul territorio indagato di ben cinque chiese medievali, sorte in virtù di qualche venerazione particolare. Non deve meravigliare il numero delle chiese perché va tenuto conto del territorio interessato da Villa Magna: alcune centinaia di ettari; e della presenza in zona di numerose comunità, anche religiose, oggi scomparse. Queste notizie consentirono di attribuire giuste collocazioni storiche alle emergenze strutturali affioranti. Altra importante testimonianza si riferiva al castello di Villa Magna, opera difensiva due volte distrutta e ricostruita, ma del quale mai era stata individuata la posizione. Questo primo intervento si realizzò grazie all’interessamento dell’onorevole Roberto Massi presso la soprintendenza archeologica, per sollecitare una campagna di ricerca e scavo sul sito di Villa Magna, ritenuto di primaria importanza a causa dell’emergere di importanti  reperti archeologici riaffiorati con le arature stagionali. L’intervento, seppure con mezzi economici limitati, consentì di confermare le ipotesi: i ritrovamenti si riferivano a un grosso centro abitato, forse di produzione agricola con domus padronale. Esauriti i fondi fu chiaro che vi era la necessità di un più ampio e articolato intervento, non più basato su ricognizione e indagine ma su un vero progetto scientifico di scavo archeologico. Venne approntato un dettagliato progetto presentato, su consiglio di Roberto Massi, alla Fondazione Carima, che lo fece proprio dotandolo di un finanziamento pari a circa 250mila euro. La direzione fu del dottor Giuliano De Marinis e del professor Gianfranco Paci mentre l’esecuzione venne affidata alla ditta C.A.L. di Brescia diretta dal dottor Jonathan Mills. Si adottò un nuovo metodo di scavo: seguire il percorso delle strutture murarie fino a poter dare una giusta classificazione al tipo di edificio indagato. Nelle indagini si utilizzò l’infrarosso, il geotermico e l’aerofotogrammetria anche satellitare, il tutto in collaborazione con un gruppo di geologi diretti dal dottor Fabio Pallotta. I risultati furono di grande soddisfazione con l’individuazione di una serie di edifici facenti parte di un unico complesso, che interessava un’area di oltre 5mila mq, con in evidenza un edificio di utilizzo padronale, con annesse terme e un piccolo tempio che conservava il pavimento in mosaico quasi intatto. Poco discosti una serie di edifici utilizzati per gli ovini e animali domestici con relativi depositi per l’acqua. Il tutto protetto da un muro di grosse dimensioni, rinforzato da robusti contrafforti, portato allo scoperto per 200 metri lineari. Poi lo scavo fu sospeso, in quanto dai rilievi il muro risultava continuare per almeno altri 300 metri. In una visita al cantiere di scavo il compianto soprintendente De Marinis, di solito riservato e discreto, esclamò: “Ma che c… avete trovato?!” Espressione proporzionata alla quantità e alla qualità dei rinvenimenti e alle indicazioni rilevate dalla fotografia satellitare. In primo luogo la presenza di alcuni edifici in una posizione che, a giudizio degli archeologi e dei geologi, poteva essere attribuita alle terme romane di cui si aveva memoria ma che mai erano state individuate; poi le tracce di una necropoli picena nelle immediate vicinanze. Questo confermato da evidenti tracce di insediamenti piceni, poi sul versante rivolto a Fiastra risultavano stanziamenti medievali prossimi a sorgenti e probabilmente dediti alla lavorazione dei metalli per il rinvenimento di cumuli di scorie di fusione. Ma la scoperta più affascinante fu la localizzazione del luogo dove sorgeva nel medio evo il castello di Villa Magna, a cui demmo il nome di “Panettone” per via della sua forma. Della intera operazione e dei suoi risultati, l’onorevole Massi e il professor Paci vollero organizzare un convegno all’Università del quale curai il coordinamento. Questo il titolo: “Villa Magna di Urbisaglia, un sito archeologico ricco di sorprese”. Furono illustrati i grandi risultati conseguiti e si auspicò continuare gli scavi e le ricerche, perché ciò che era tornato alla luce era solo una piccola parte del tesoro custodito a Villa Magna. Passata l’euforia del momento l’avventura cadde nel silenzio e nell’oblio, sia per la prematura scomparsa di Roberto Massi, che per invidie e gelosie in ambito accademico. Si preferì gettare Villa Magna alle ortiche (ndr: letteralmente viste le erbacce che hanno invaso il sito) anziché operare per lo sviluppo e la maggiore conoscenza dei luoghi. L’archeologo dell’Università di Barcellona definì, senza mezzi termini, Villa Magna una villa di proprietà imperiale!  

08 settebre 2016

 

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