Gli 800 anni di Santa Sperandia

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Di recente, una signora di Milano togliendosi i vestiti vede cadere dal reggiseno una immaginetta di Santa Sperandia. Non si spiega come ci sia finita, né ha mai sentito parlare di questa Santa. Al momento non dà peso all’episodio, sua figlia è malata e quindi ha altro a cui pensare. Pochi giorni dopo conosce una signora di nome Sperandia, nome assai insolito a Milano. La incuriosisce la coincidenza, si informa e chiama il monastero di Cingoli; chiede alle suore di pregare la Santa e la figlia guarisce. Ce lo racconta timidamente, come curiosità indimostrabile, la Madre Superiora, la gentile Suor Ada Maria che ci accoglie in chiesa e, insieme con il collaboratore della Proloco signor Gioacchino Pecci, ci mostra le mirabili opere d’arte in essa custodite, quadri, sculture, l’organo, e, ovvio, l’urna della Santa. La sobrietà, la finezza e l’estrema cura del luogo, danno una sensazione di serenità. All’interno del monastero di clausura, dove il silenzio regna, ormai le suore sono rimaste in poche, e ne sono arrivate alcune dall’Africa per salvare momentaneamente il luogo dalla chiusura. Visitiamo pure la stanzetta della Santa, suggestiva, con oggetti e ricordi. Non è dato di sapere se “Spera in Deo” fosse il suo nome di battesimo; le notizie certe la vedono nata a Gubbio nel  1216, e morta a Cingoli, anzi, è più corretto dire “Assunta in cielo”, l’11.9.1276, come ben rappresentato nel telo del 1500 conservato nel monastero, dove la Santa morente è con 11 suore dalle caratteristiche vesti dello scomparso Ordine Benedettino Avellanita. L’essere pura dal peccato ha fatto sì che il suo corpo non subisse corruzione, ma anzi abbia emanato profumo di fiori nelle varie ricognizioni certificate del 1497, 1639, 1768, 1834, 1870, 1926. In queste occasioni la Santa viene rivestita con un nuovo abito, mentre il vecchio è tagliuzzato in piccoli pezzi-reliquia, ancora oggi gelosamente conservati dalle donne cingolane, a volte cuciti nella biancheria intima, come protezione dalle malattie femminili. Non si ha notizia di un percorso scolastico o di formazione, si tramanda che la sua vocazione ha inizio all’età di 9 anni, quando in una visione Gesù la spinge a spogliarsi dei suoi beni e a vivere in penitenza. Come San Francesco, suo coevo, lascia la famiglia, veste pelle  di suino e una  cintura in ferro,  scalza, inizia a praticare digiuni e peregrinazioni. A volte gira per i paesi con il volto coperto da un velo, il capo cosparso di cenere e le braccia legate. Forse in queste occasioni, per l’impressione che tale visione può avere suscitato nella gente dei nostri borghi, è coniato l’affettuoso detto popolare “brutta come Santa Sperandia”. Pare sia stata pellegrina in Terra Santa, da dove porta con sé delle reliquie. In un viaggio a Roma attira l’attenzione del Papa che, commosso dal suo aspetto misero e dai piedi laceri e scalzi, le dona i suoi stivaletti: uno è conservato nel convento, un altro a Serralta di San Severino. In quei tempi, il suo comportamento non era un caso isolato: il dedicarsi a digiuni, castità, opere di carità, era costume diffuso nel XIII secolo, soprattutto in Centro Italia: movimento definito Beghinismo, o Bizzochismo; pie donne, laiche, peregrinavano in gruppo ma anche da sole per pregare e fare opere di bene, e poi si univano in comunità. Spesso in sospetto di eresia, decidevano di aderire a ordini “regolari”. Santa Sperandia in età matura si ritira in solitudine nella grotta di Citona, vicino la “Roccaccia” di Treia. In seguito veste l’abito di suora benedettina presso il monastero di S. Michele Arcangelo di Cingoli, dove diventa badessa. A un anno dalla morte, nel 1277, è ancora definita “sororis Spera in Deo” cioè suora, sorella; l’anno dopo riceve l’appellativo “Sancta Spera in Deo”, segno che la sua venerazione è tale da farla subito Santa per acclamazione popolare, e probabilmente per decreto vescovile, molto prima della canonizzazione ufficiale. I prodigi in vita sono leggenda, mentre quelli avvenuti per sua intercessione nei due anni successivi al trapasso sono documentati in 12 atti notarili allegati alla sua biografia ufficiale, la “Antica Vita Latina”. Questo testo ha diverse versioni, la più antica e probabilmente la più fedele, è conservata nell’archivio Storico di Cingoli, e ne è in corso la prima traduzione integrale, che sarà resa pubblica entro l’anno. Tra i miracoli tramandati ne ricordiamo alcuni: quello delle ciliegie raccolte in gennaio per i muratori che lavoravano nel monastero; la trasformazione dell’acqua in vino a Fabriano; l’apparizione in sogno a una malata che il giorno dopo guarisce; salva fanciulli moribondi; fa perdere la vista, per poi rendergliela, a tre “latrones” che l’avevano aggredita. Poco dopo la sua morte, appare in sogno due volte a un falegname pregandolo di realizzare un’arca in legno per il suo venerabile corpo, ma tal Mastro Lorenzo non prende sul serio la richiesta: la Santa arriva in sogno una terza volta e gli assesta un convincente manrovescio che lascerà un segno permanente: l’arca sarà prontamente costruita! Ora Santa Sperandia, alla vigilia della festa per il suo 800° compleanno, dovrebbe apparire in sogno a chi ha impedito che arrivassero i fondi dell’8×1000 per risanare il tetto del suo convento, e pure a chi non ha a cuore che lo stabile sia ben conservato per il valore culturale, storico e architettonico (problema in verità non isolato). Le suore e gli affezionati di Sancta Speraindeo hanno lanciato un appello a quanti vorranno contribuire: il monastero non ha rendite, si regge con due pensioncine delle suore e con le offerte. Su ordinazione le suore realizzano a mano camici sacerdotali e ricami ma i proventi non coprono lontanamente le rate del mutuo astronomico.

Il loro Iban è: IT31G 08549 68860 0000 3016 1681;

info: Monastero Benedettine S. Sperandia 0733.602532; Pro Loco Cingoli 0733.602444.

26 agosto 2016

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