Notizie vere, curiose e divertenti tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

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Contestazioni allegre

Domenico Spadoni, in una sua pubblicazione degli anni ’30, riferito il distico, passato in proverbio e attribuito al lustrascarpe maceratese Ciàcchiti:

 

Fra le feste e la cuccagna,

non ze penza a cchi no’ mmagna!

 

annota: “I contrasti sociali sogliono ispirare al popolo dei motti di dolorosa ironia. Così ricordiamo che la Cecèna, una misera giornalaia morta al Ricovero, in una sera che nevicava, strillando i giornali per le logge deserte del Palazzo del Comune, gridò:

 

La Tribbuna!

Chi magna li pollastri e chi dijjuna!

 

In quegli stessi anni, dalle nostre parti, si poteva udire cantare questo ritornello:

 

Fiore de jésso;

chji tando fatigà’, chji sembre a spasso,

chji tando vino e cchji ll’acqua der fosso!

 

Negli anni ’60 un poveretto che faceva l’autostop a Porta Sajano di Montolmo ed era in attesa da parecchio tempo senza che alcun automobilista lo rilevasse, se ne uscì a cantare:

 

Fiore de pèzza;

se cci-hai li sòrdi, tutti te scarròzza;

se non ge l’hai, te ‘mbórveda o te sgrizza!

 

Il peggio non è mai morto

Lo stesso tipo spassoso appostato a Porta Sajano di Montolmo per fare l’autostop, ogni mercoledì usa recarsi a Macerata per esercitarvi l’accattonaggio, proficuo in quel giorno perché vi si tiene il mercato settimanale. Anche l’altro giorno, mi dicono, cantava uno dei suoi soliti stornelli scanzonati:

 

Fiore de pèzza…

se cci-hai li sòrdi tutti te scarròzza;

se non ge l’hai, tòcca a ppijà’ la pòsta!

 

Ebbene. un giovanotto lì presente, dopo averlo ascoltato, gli si è rivolto perfidamente cantando questo verso di chiusura: e lu vijéttu è ccaru che tte stròzza!

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