VICOLO MAREFOSCHI

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Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Vicolo Marefoschi
Vicolo Marefoschi

 

Più di mezzo secolo è trascorso dalla chiusura delle “case a luci rosse” e, per i non più giovani, il ricordo del “casino” è rimasto indelebile, quasi un mito, mentre i giovani che non lo hanno conosciuto e ne hanno solo sentito parlare lo intendono come una realtà lontana. Qual’era la prassi per accedere a questo luogo di perdizione (secondo alcuni) o di beatitudine (secondo altri)? Non andiamo troppo lontano e partiamo da quando c’era il telefono. Si telefonava alla titolare per le informazioni sul flusso odierno della clientela; si interpellava, amichevolmente, il responsabile della sanità locale sull’avvenenza delle “operatrici” presenti (cambiavano ogni 15 giorni e costui ne controllava la salute…); ci si rendeva presentabili per poi dirigersi verso la “meta agognata”. Dopo la telefonata, fatta dall’intimità della propria abitazione, arrivava la parte difficoltosa, quasi un percorso di guerra da farsi, purtroppo, allo scoperto. C’era da raggiungere il vicolo passando dalla transitata via Armaroli, per cui occorreva ostentare indifferenza (troppa insospettiva…) osservando estasiati il paesaggio o i muri delle case. Solo quando nessuno era in vista si partiva con un fulmineo scatto, da centometrista, per catapultarsi di botto dentro al portone n° 1. Ma il tribolare non era finito perché qui c’era il rischio di incontrare amici di famiglia, noti professionisti, artigiani e via dicendo. Cartelli in bella evidenza informavano sul costo del pedaggio da pagare prima di varcare la soglia desiata: per donne di terza scelta (a uso macelleria, come per le carni) £ 5; per quelle di seconda qualità £ 10 mentre per la prima della classe si arrivava a un esborso assai sostanzioso: ben 50 lire! Il vicolo Marefoschi è un residuo della viabilità medievale e il suo nome è a ricordo della famiglia Marefoschi, proprietaria in quella zona di un palazzo demolito per aprirvi il giardinetto che ospita il busto di Giuseppe Mazzini.

Vicolo Marefoschi
Vicolo Marefoschi

Un vicoletto non particolarmente bello che però è rimasto nel cuore di tanti maceratesi, di città e del circondario, perché per un periodo abbastanza breve è stato l’ultima sede di quella che, fino al 20 febbraio del 1958, era una istituzione: la casa chiusa altrimenti detta “casino”. All’entrata in vigore della famosa “legge 75” furono in tanti a lamentarsi in modo sommesso anche se, pubblicamente, c’era un coro di evviva. Perché? Perché c’era un radicamento secolare della tradizione. Infatti documenti risalenti al 1390 certificano che il Comune concedeva in appalto la gestione della “casa” per la notevole somma di trenta ducati e la questione aveva tale e tanta notorietà che dai paesi vicini giungevano puntuali gli sfottò contro i maceratesi. Questo genere di “lassismo comunale” continuò fino al 1500 e si arrivò pure a fornire abbondanti razioni di carne alle “donnine” che apparivano troppo magre ed emaciate. Queste, nel 1536, erano numerose e molte sfuggivano al controllo dei gestori che furono messi a mal partito dalla “concorrenza sleale” tanto che si deliberò di sistemare le “fanciulle”, ormai sciolte da qualsiasi vincolo burocratico, “in aliquo viculo vel diverticulo”. Invasero la “Cocolla” e addirittura nel 1565 gli Agostiniani eremitani proposero di cedere a queste il convento divenuto loro angusto. Agli inizi del 1600, Curia e Comune decisero di trasferirne una buona parte nella odierna piazza Mazzini ma anche nella zona di via Garibaldi si contavano 12 “libere esercenti”. Poi il Tribunale vescovile cominciò a emettere nei loro confronti precetti di esilio. Sotto il Prefetto Gaspari ne vennero censite 68 (38 affette da malattie veneree), più 7 di alto bordo. Con l’avvento del governo italiano si ricostituì la “casa chiusa” nel “vicolo di Quarantotto” (oggi vicolo del Ponte), poi trasferita nel vicolo del Casarino. Successivamente toccò a via Cavallotti (oggi via Crispi) per terminare in vicolo Marefoschi. Negli anni ’50 si realizzò una nuova sede in via Ghino Valenti ma arrivò la “legge Merlin” e lì rimase una casa con un bagno in ogni stanza!

continua

 

foto Cinzia Zanconi

 

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