Ricordi di un Casettà IV puntata

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di Fernando Pallocchini

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Don Vincè de li terremoti

I salesiani sotto Pasqua si davano da fare per la processione del Corpus Domini e c’era da verificare tutto l’elenco dei figuranti. La cosa andava per le lunghe, e SilvioSpaccesi, che aveva l’argento vivo addosso, dopo un’ora di attesa ne pensò una delle sue… A sinistra della chiesa della Misericordia c’era una porta aperta, siamo entrati e ci siamo seduti per le scale; avanti ai nostri occhi c’era un uscio con su scritto “Don Vincè”. Era lui che faceva le previsioni del tempo (ndr: era detto don Vincè de li terremoti) e le apponeva per il corso, vicino al negozio di Ermete che, da par suo, metteva fuori invece il menù del giorno. Dal buco della serratura della porta di don Vincè vedevamo i suoi strumenti e partì lo scherzo… Silvio ci fece bussare con tutte le forze sulla parete, che tremò. Il giorno dopo don Vincè mise fuori il seguente avviso: “Terremoto del 7° grado della scala Mercalli”. Nessuno aveva avvertito la scossa in città per cui il popolo maceratese disse: “ ‘Llupòru don Vincè s’adè ‘mbriacatu!”

 

Il bombardamento

Ogni anno ritorna Aprile e con esso un ricordo doloroso: il bombardamento di Macerata. Molti giovani delle Casette frequentavano allora l’oratorio salesiano, attratti da una allegra compagnia di ragazzi accomunati dalla passione per il gioco del pallone e, in verità, meno per la preghiera . Da catalizzatore c’era un giovane chierico di nome Ennio Pasterbuoni, di origine romana che fin da principio trovò, nella simpatica marmaglia, feconda ispirazione di lavoro. Anzi, nel tempo, incominciò ad apprezzare le recondite “virtù” di quei giovani sconosciuti, fantasiosi, furbi e simpatici. Voleva addirittura confondersi con loro, formando squadre di calcio in erba, dai soprannomi significativi come Bussaforte, Picchia sodo e simili. Emergeva con lui nel tempo, sempre più, la ineffabile scuola di Don Bosco. E nel trasporto della sua vocazione, amava sempre oltre misura quei giovani che cominciava già a conoscere molto bene. Quel giorno nefasto erano in corso all’oratorio gli esercizi spirituali. Alle ore 9,15 circa si udirono rombi di aerei che presero a volteggiare sopra Macerata. Seguirono subito forti esplosioni. Era iniziato il bombardamento. Si diffuse immediatamente una grande paura e tutti corsero a nascondersi. Siavvertì vicino uno scoppio fragoroso . Era caduta una bomba all’inizio di via Nana, adiacente alle Casette, sopra il forno Tamburrini, famiglia nota a tutti perché un figlio, soprannominato Tavosciu, aiutava spesso il padre e quel giornonon era con noi. Scattò l’allarme generale: primo fra tutti per don Ennio che corse subito verso il forno fra quelle macerie ancora fumanti. A mani nude cominciò alacremente a scavare con altri alla ricerca dei superstiti, per quanto il cuore fosse rivolto soprattutto al suo caro oratoriano. Fu presto esaudito. Raccolse Tavosciu fra le sue braccia, respirava ancora: il ragazzo aprì gli occhi che, poco dopo, richiuse per sempre. Don Ennio rimase fermo in preghiera senza poter frenare le lacrime. Quel pianto commosse profondamente tutti.

 

Lu Mischiu, sarto

Era allora in uso, e mi pare ancora oggi, nel mese di Maggio la festa della Prima Comunione. Allora, come oggi,era costume prepararsi, bambini e accompagnatori, con un vestito nuovo. Fu allora che un campagnolo varcò la soglia della bottega de lu Mischiu, onde attrezzarsi per la cerimonia. Accompagnato naturalmente dal figlio comunicando, pregò il sarto di provvedere al bisogno. Subito, con il metro flessibile, lu Mischiu s’ingegnò a prendere le misure necessarie al giovane. Il padre intervenne, spiegando che anche lui aveva bisogno di un vestito nuovo. Alla richiesta lu Mischiu replicò: “Ma a te non c’è bisognu che ti pijo le misure, te conosco”. Ignorando totalmente che si trattava di un nuovo cliente. Con tono rassicurante il sarto disse loro di presentarsi dopo una ventina di giorni per la prima misurazione. Puntualmente, allo scadere delle tre settimane, i due si presentarono di nuovo in bottega. Il piccolo indossò il suo vestito e il padre il proprio. Si notarono ben presto alcuni sostanziosi difetti. Le maniche del piccolo erano talmente lunghe che per vedere le mani si doveva assolutamente provvedere a un notevole accorciamento, il padre, indossata la giacca, rimase forzatamente a braccia larghe per una mancanza di stoffa alla schiena. Rimase così, imbracato da sembrare uno spaventapasseri. Lu Mischiu subito si giustificò dicendo : “Le maniche de tu’ figliu vanno ve’…cresce! Invece tu, co’ ‘sto callo te poli mette la giacca sulla spalla!” Questi erano allora alla sartoria de lu Mischiu i vestiti fatti su misura. Mai si è saputo il compenso dovuto al sarto. Alcuni casettà obiettarono che fosse “in natura”, ovvero succo di uva fermentato, di cui il famoso sarto era un ottimo cultore.

continua

 

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