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tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

 dicerie popolari

Processo per sacrilegio

Dopo la soppressione del monastero femminile, dal 1810 il convento di Santa Chiara fu adibito a carcere e in conseguenza di questo fecero parte della parlata maceratese alcune frasi: retirasse (entrare in monastero-carcere), oppure, jì’ a ffunì’ a Sanda Chiara (andare in galera); èsse’ divotu de Sanda Chiara (vivere da delinquente incallito facendo la spola tra casa e prigione). In passato, presso il Tribunale di Macerata, un ladro sacrilego proveniente da Santa Vittoria in Matenano viene interrogato dal giudice che gli chiede: “Allora, ner méndre che tu stavi rubbando a San Paolo…” (Allora, nel mentre stavi rubando a San Paolo). “A San Filippo, sòr Jùdece” (A San Filippo signor giudice) precisa il ladro. E il giudice spazientito: “Sèmbre dréndo a ‘na cchiesa avviniva ir furto, e un sandu vale quill’atru..!” (Sempre dentro una chiesa avveniva il furto e un santo vale l’altro). A questo punto il ladro chiede: “Anghj le sande è tutte uguale?” (Anche le sante sono tutte uguali?). Urla il giudice: “Certo! Ma questo che cce rrendra?” (Certo, ma questo cosa c’entra?). Il reo, con bella faccia tosta, propone: “Se ‘dè ccuscì… se ‘dè cuscì, allori a mme, ‘mmece de rmannàmme a Sanda Chiara, rmannàteme a Sanda Vittoria!” (Fosse così, allora invece che a Santa Chiara rimandatemi a Santa Vittoria!).

 

Articolo quinto

Quando si parla di liti giudiziarie il popolo tira ironicamente in ballo l’articolo quinto. Un artigiano, a proposito dell’andamento di una causa presso il Tribunale di Macerata, se n’è uscito a pronosticare: “Lu jùdece non te po’ sbajà’: la causa pòle èsse’ quella che tte pare, e ppòle durà’ quanto voli, ma issu te métte sèmbre davandi l’articulu quindo, prima de lèjete la sendènza!” (Il giudice, non ti puoi illudere: la causa può essere quella che vuoi, e può durare quanto ti pare, ma lui ti pone sempre davanti l’articolo quinto, prima di leggerti la sentenza!). E tutti sanno che l’articolo quinto di un codice immaginario tratto dall’esperienza recita: E vvisto l’articolo quinto, chji ci-ha più quadrini ha vinto!

 

Catasto bugiardo

Il maestro Getulio De Angelis di Montolmo (1868-1959), in occasione della vendita di un suo terrenuccio ereditato dalla madre, fece una scoperta sensazionale: il fondo che stava per vendere non era di due ettari e mezzo, come risultava al Cata-sto, bensì di quasi quattro ettari. Il maestro raccontò il caso a un suo amico grande proprietario terriero e questi gli spiegò che, al tempo della prima compilazione delle mappe catastali pontificie ma anche dopo l’annessione delle Marche al Regno d’Italia, i proprietari dell’epoca, per ragioni fiscali, corrompevano gli impiegati del Genio Civile per registrare i terreni più ridotti come area, oltre che di categoria inferiore. Il maestro Getulio rimase sconcertato e fece: “Se ccuscì sta’ le cose, dando seriu seriu a li scolari li dati de la superficie d’Italia, io per vent’anni non àgghjo fatto atro che dì’ fregnacce. E cchji ci-ha più coràgghju de spiegà’ la geografia!” (Se le cose stanno così, dando serio serio agli scolari i dati della superficie d’Italia, io per vent’anni non ho fatto altro che dire fesserie. E chi ha più il coraggio di spiegare la geografia!).

 

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