La storia di Macerata a piccole dosi, XXXIV puntata

Print Friendly, PDF & Email

Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche

di Adversi, Cecchi, Paci

 

In balìa di eserciti stranieri

 

Contributo maceratese all’armata napoleonica

Dopo gl’insuccessi dell’armata napoleonica in Russia, nel 1813 l’imperatore riorganizzava l’esercito e il dipartimento del Musone offrì 55 cavalli, mentre da Macerata partivano, volontari, un Mugarelli, un Mariani e un Capitani. La popolazione restò indifferente alla chiamata e, a tutto il maggio 1813 aveva offerto solo 55 cacciatori, 87 cavalli, 12.244 lire e 20 paia di scarpe.

Arrivano le truppe del Murat

Verso fine anno iniziò il transito delle truppe napoletane del Murat e a Macerata sfilarono 500 cavalleggeri, ufficialmente per rinforzare l’esercito del Beauharnais ma la gente, ormai avvezza ai trasformismi, cominciò a rumoreggiare e a sfidare le Autorità pubbliche. Il Governatore Villalta chiese prudentemente il passaporto per Milano, sostituito nella carica da Giovanni Lauri mentre le truppe napoletane sgombravano Ancona dai francesi.

 

La battaglia della Rancia

Anche il Murat, che intanto aveva dichiarato guerra all’Austria, aveva bisogno di soldati e la città fu più generosa che nel passato, infatti la Prefettura fornì le uniformi ai volontari Volpiani e Scarponi, il ricevitore del dipartimento offrì il volontario Nicola Barca, altri sette volontari furono selezionati tra gl’impiegati della Prefettura e il Consiglio comunale mise a disposizione 15.000 lire. Il 30 aprile si fermò a Macerata Re Gioacchino che così definì la nostra città: “Luogo da me desiderato, quasi ambito, ove si devono decidere le sorti di un regno”. A tali parole la popolazione prese paura e fuggì nelle campagne. Il 2 maggio gli austriaci, guidati dal generale Bianchi, ingaggiarono battaglia nei pressi di Villa Perozzi (ex seminario), lo scontro proseguì il giorno dopo nelle campagne della Rancia e le truppe di Murat fuggirono in rotta verso Cantagallo. A rendere più grave la situazione ci pensò la Brigata Carafa che, invece di difendere l’accesso alla “carrareccia” dal lato di Sforzacosta, si era sparpagliata verso Montolmo alla ricerca di viveri.

 

Saccheggi in campagna

Fu il caos. Murat rassicurò il Podestà Perozzi che Macerata non avrebbe subito un saccheggio e così fu, ma non si salvò la campagna che subì danni gravissimi. Poi arrivarono gli austriaci, accolti prima dal clero, indi dagli amministratori “alle ore 10 antimeridiane il nostro Monsignor Vescovo, in compagnia del sig. Canonico Gambini, suo vicario, e del Canonico Narducci fu alla porta romana e fece un complimento al colonnello austriaco raccomandandogli caldamente la nostra città; poco dopo i Sigg. Perozzi Podestà, Pietro Romani e Telesforo Narducci furono a fare un simile complimento”. Alle ore 10,15 i tedeschi entrarono in città, rispettandola, ma eguale rispetto non fu portato alla campagna dove le truppe “fecero un massacro di tutto, perfino il grano e il granturco che potè trovare nelle case; e fu uno sterminio generale di tutto che non si era mai udito”. L’esercito partì il giorno 5 “con aver lasciato un lutto generale presso i contadini”.

 

Nell’andirivieni si torna sotto il Papa

Cambia il regime, cominciano le epurazioni e i prelievi. I primi a essere arrestati furono il Podestà Perozzi e Orazio Venturi, provveditore del vino, accusati di aver fornito ai soldati viveri avariati “ma fu detto essere stato ciò un pretesto giacché aveva saputo il generale che questi due soggetti erano contrari al Papa e che aspettavano Napoleone che tornasse in Italia”. Per la liberazione del Perozzi intercedette il Vescovo mentre il Venturi fu libero per le preghiere della Contessa Gatti. Bartolomeo Mocchi, che aveva incitato il popolo contro i tedeschi, fu bastonato 50 volte e stessa condanna, per aver molestato i funzionari, subì un tal Fermani. L’ispettore di finanza Maestri asportò dalle casse del Comune 17mila lire dando, in compenso, la notizia che le Marche sarebbero tornate sotto il governo papalino e gli “evviva” del popolo furono grandi. A prendere “possesso” della città arrivò il Delegato apostolico Tiberi che si trovò subito in ambasce per l’approvvigionamento della popolazione, reso difficile dalle devastazioni ai campi causate dai napoletani e dagli austriaci.

 

Il giudizio critico-ironico di Monaldo Leopardi su alcuni amministratori

 

Conte Giuseppe Foglietti “E’ un’anima vecchia, coperta di ruggine e di pregiudizi che lo rendono impenetrabile a qualunque idea liberale. E’ per lui tutto pessimo quel che non trovasi nella Costituzione egidiana e nel De Vecchis ‘De bono regimine’. E’ furente contro quanto sa di francese, quantunque abbia portato la sua sciarpa tricolore, come membro del corpo elettorale. Si ha per tenace nella protezione de’ suoi aderenti e più nella persecuzione di chi non ama. I suoi talenti sono assai moderati. Egli compilò il gran libro del bene e del male di tutta la provincia in cui pretese descrivere e qualificare tutti gl’impiegati in tutte le Comuni. Lo donò a Mons. Tiberi che, nei primi tempi, ne fece gran caso”.

 

Barone Telesforo Narducci “Uomo di sommo onore, di esimia probità, di intenzioni rettissime. Fatalmente di nessun talento”.

 

Conte Luigi Pizzicanti “Uomo di qualche superficie e di nessuna profondità. Povero e sbalordito da un assegnamento mensile di 100 piastre, è meschinissimo adulatore e valletto di Mons. Tiberi che lo chiama il suo ballerino”.

 

Delegato Apostolico Tiberi “Manca fatalmente di esperienza, di cognizioni e di talenti governativi… non sembra penetrato dallo spirito di perdono, di conciliazione e di pace… vuole l’oblio dei partiti, la riunione delle opinioni… l’aver serviti i passati Governi è agli occhi suoi un delitto inespiabile e parla pubblicamente di tutti gli impiegati come di persone infami… appena arrivato a Macerata depose…. sostituendovi uomini nuovi e inabili”.

continua

A 6 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti