I mezzi di trasporto dei fattori!

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di Cesare Angeletti

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Quando si ricordano i fattori del tempo andato si è portati a dire che loro si muovevano in calesse: (carrozzella leggera tirata da un solo cavallo). Prima di tutto permettetemi di dire chi erano i fattori. Costoro erano diplomati all’Istituto agrario o giunti al quarto anno (tecnici agrari) perché il quinto, allora, stava solo a Camerino e non tutti se lo potevano permettere, oppure erano persone abili e fidate cui i padroni, da noi quasi sempre nobili, affidavano l’amministrazione delle proprietà terriere. Il loro compito era di rappresentare i padroni facendo in modo che i mezzadri facessero al meglio il loro lavoro e di effettuare la divisione dei vari prodotti, in base alle leggi vigenti, stando attenti ai contadini meno onesti. Alcuni amministratori avevano anche sette, otto “padroni” che a loro volta erano proprietari di due, tre, sino a cinque o sei terreni. I nobili, avendo proprietà molto grandi, avevano spesso vari fattori organizzati a “ piramide”: capo fattore, sottocapo e vari collaboratori. Questi uomini dovevano fare il giro dei contadini ogni settimana e allora era necessario per loro avere un mezzo di trasporto. Quello più tradizionale, come già detto, era il calesse tirato dal cavallo ma alcuni avevano un modo diverso di muoversi. Il più folcloristico era, forse, mio zio, Elia Craja, fattore dell’Ircer il quale, smesso il cavallo, che lui montava vestito con pantaloni alla zuava, stivali, giacca di fustagno e “armato” di frustino, che amava battere spesso sugli stivali mentre parlava, aveva mantenuto lo stesso modo di vestire pur muovendosi con una 600 Fiat, un’auto che aveva una carrozzeria stranissima disegnata da un carrozziere famoso, una 600 che a lui era piaciuta moltissimo, quasi un pezzo unico e sicuramente l’unico esemplare presente nelle Marche. Un altro fattore, molto conosciuto a Macerata, che però viveva in campagna, invece, amava cavalcare uno splendido stallone nero col quale si muoveva spesso anche in città. D’inverno si paludava con un ampio mantello nero e un cappello, anch’esso nero, a larga falda da sembrare veramente un personaggio uscito dai film di cappa e spada. Il fattore più caratteristico aveva un soprannome divertente, e aveva voluto fare il passo più lungo della gamba acquistando una 1100 Fiat di seconda mano, che dopo poco tempo era diventata, anche per l’incuria del proprietario, un catorcio. Lui era noto a causa di un particolare comportamento. Si portava sempre il figlio e quando vedeva un coniglio o una gallina o altro animale che gli faceva gola dava un pizzicotto al figlio che si metteva a piangere per cui, quando la vergara, da brava madre, si avvicinava con aria premurosa e chiedeva che cosa fosse successo lui rispondeva: “Ha visto ‘llu cunellu…(o oca… o gajina) e piagne perché lu vòle. Adesso je daco quattro schiaffi!” La vergara, facendo buon viso a cattivo gioco, faceva catturare l’animale e lo regalava al fattore. Quando tornavano a casa il figlio aveva il braccio pieno di lividi e il padre la macchina piena di animali. Mio padre, sin da quando io ero bambino (non dico piccolo perché io “piccolo” non sono stato mai) aveva una moto “Bianchi v t 125 freccia d’oro” che veramente, a quei tempi, faceva girare molta gente. Dapprima, quando ero un bimbetto, mi metteva davanti a lui a cavallo del serbatoio, reggendomi con le sue potenti braccia. Poi, quando sono cresciuto a sufficienza, mi faceva sistemare sul sellino posteriore. Arrivato il tempo decise anche lui di comperare la macchina. La Fiat produceva la Balilla in due versioni, a tre e a quattro marce. La prima era più piccola e più economica la seconda più ampia. Papà, con la complicità del famoso venditore maceratese della Fiat che aveva venduto mille macchine in un anno, si fece fare la tre marce con la carrozzeria della quattro marce. Una vera rarità. Se l’avessimo tenuta, oggi sarebbe un pezzo da collezione unico. Ma, come si dice? “Del senno di poi sono piene le fosse!”.

 

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